lunedì 21 settembre 2009

Della serie "le sintesi impossibili di Silvia"..

Sintesi, se non impossibile, di certo molto ardua, intanto perchè ammetto di essere per lo più "analitica", e poi perchè riuscire a sintetizzare un progetto del genere forse non mi va neppure... lo voglio ricco di spunti ed idee per adesso, aspettando che sia l'effettiva opera dei suoi "contribuenti" a definirlo in un modo che, solamente dopo, sarà sintetizzabile.
In ogni caso, copio e incollo l'ultima mail che vi ho spedito, anche se, alla luce degli "eventi" di ieri, pensando al fango, allo yacht di Dieguccio ed al suo skipper "Mister X", avrei molto da aggiungere. Ed il raccontino ipotetico su come potremmo muoverci che segue -molto informale e scritto in maniera pessima-, si dovrebbe arricchire di numerosi altri quesiti imprescindibili da portare tra la gente..Se ne parla de visu, che è meglio:)

"Chiedo scusa innanzitutto a tutti voi per l'eccessivo caos nel quale vi sarete ritrovati se avrete tentato di leggere qualcosa nei blog o avrete avuto l'occasione di discutere con la sottoscritta, da diversi mesi decisamente inabile nel "parlare", per diverse ragioni.
Sicuramente c'era molta confusione nella mia testa, ed anche la “sintesi” che tenterò di esporvi adesso (riprendendo un breve discorso fatto stasera alla mia amica Simona) tornerò a modificarla parecchie volte, dal momento che limare è di certo un compito infinito e la chiarezza temo sia diventata per una come me una méta molto ardua, per quanto estremamente desiderata .
Resta, poi, l'idea di fondo che, comunque, finché non saremo sul campo, finché non si saranno formati i gruppi e non si sarà creata una minima conoscenza tra i vari membri che aderiscono al progetto, tutto ciò che verrà detto non sarà altro che una sorta di cera, che potrà essere modellata esclusivamente grazie all'energia di ciascuno di voi.
Perché, e poi vado al succo, voglio ricordare ancora una volta come questa ricerca voglia davvero essere "plurale" e sentirsi perciò figlia di molti "genitori", mai il parto esclusivo di una schizzata filo-filosofa.

Allora, dove penso potremmo andare a parare con quest’ indagine "conoscitiva"? Quali obiettivi dovremmo proporci e come dovrebbe essere di fatto congegnata?

Immaginatevi un gruppo di giovani "professionisti", che svolgono lavori differenti e che, forse per caso o forse perchè una rompipalle li ha perseguitati con la richiesta di un documentario sulle "periferie", decidono di capire un pò meglio come si vive e cosa succede negli ambienti "degradati" della loro città.
La premessa da cui partono è, casualmente o meno, piuttosto "borghese", ed è, in quanto inizio di una ricerca, una domanda: se solo la bellezza può salvare il mondo, là dove la bellezza non c'è, cosa accade e cosa si può fare?
Si interrogheranno tra di loro sul significato della bellezza oggi, sul ruolo dell'arte, sull'importanza dell'edilizia e del bello della natura, per chiarire meglio quali rapporti esistano tra l'uomo ed il suo spazio. E cercheranno di capire cosa ne pensano gli abitanti di questi quartieri, quanta fiducia ripongono nell'amministrazione comunale, mostrando i luoghi in cui le vite di coloro che spesso vengono definiti "poveracci" ed "invisibili" si mescolano in vari modi.
Possibilmente coloro che si lasceranno coinvolgere nelle interviste sembreranno proprio confermare l'opinione di chi nel gruppo è già scettico sull'importanza del "bello". Ossia, non è possibile sperare nella bellezza, se prima ci sono da affrontare questioni più urgenti, come la disoccupazione. Chi non lavora è finito, la bellezza è solo un vezzo borghese, sembrerà la sola risposta accorta, incapace però di esaurire lo slancio di curiosità del giovane gruppo.
Sconsolati alcuni, più certi di aver “avuto ragione” fin dall'inizio altri, i membri del gruppo cercheranno di osservare le cose ancora più da vicino.
( Didascalia della scassapalle di cui prima: dalla fase della ricerca “bellezza immaginazione necessità” si passa a quella intitolata “le radici delle solitudini”).

I ragazzi si troveranno a mettere in evidenza tutte le forme di resistenza all'abbandono che esistono già in queste zone- intendo i lavori delle scuole, delle varie associazioni di volontari e tanto altro- che si impegnano in un confronto continuo con tutti quei casi che, fino ad allora numeretti di statistiche letti sui giornali, inizieranno a diventare volti di bambine violentate, ragazzi che spacciano, uomini che entrano ed escono dalla galera forse finalmente conosciuti e tanto altro, in una realtà che, comunque, è variegata e non si può prestare, come nessuna, ad alcuna generalizzazione che la descriva efficacemente con una formuletta. Nascerà probabilmente una discussione sui tratti generali del nostro tempo. Su cosa voglia dire solitudine, visibilità, su cosa sia l’isolamento, su quante possibili affinità ci siano tra coloro che vivono lontano da queste vicende ma soffrono altri mali e chi si sente comunque lasciato solo per altre ragioni. Può esistere un punto di convergenza tra la visione “borghese” e quella “popolare” di ciò che vuol dire vivere?
Immaginate che chi si farà intervistare potrebbe apparire comunque molto annoiato dal tentativo di assicurare come anche altrove non si stia bene, non si sia davvero felici, perché verosimilmente non gli piacerà ammettere che laddove circola ricchezza ci si possa lamentare. E, pur incuriosito dallo scoprire di avere molti sogni comuni, saprà che, spenti i riflettori sulle sue problematiche, non saranno certamente quei ragazzi- che non l’hanno trattato come cavia di un esperimento, ma solo come un concittadino degno di dar voce a ciò che più lo preoccupa- a risolverle.
A questo punto qualche elemento del gruppo penserà di aver già preso dalla ricerca ciò che più gli “serviva”. Sentendosi eroico per aver messo piede in zone che non aveva mai percorso della sua città, potrà tornare a vivere come prima con un tocco di maggiore fascino da usare nelle conversazioni con gli amici … chi lo sa..sarà già, credo, qualcosa di importante che gli resterà come ricordo di quanto più grande e complessa di quanto credeva, fino a qualche mese prima, fosse la sua città, essa in realtà sia.

Ma quando qualcuno dirà “è vero, è così come ci hanno spiegato loro. Il potere è solo di chi ha i soldi”, si origineranno discussioni che porteranno l’indagine ad un altro livello, l’ultimo: identità e potere.
La ricerca posso sforzarmi di prevedere che potrà a quel punto diventare veramente delicata. Saranno tirate in ballo numerose questioni e non è difficile credere che i ragazzi intervisteranno diverse autorità e magari anche i preti delle zone indagate, per capire meglio chi sia effettivamente a “decidere” le sorti di quei luoghi.
Mi ispiro ad una bozza di un possibile“dialogo socratico” sull’argomento, tratteggiata rapidamente ieri, per concludere:

“Più timorosi, dopo le esperienze fatte, che hanno insegnato loro l’impossibilità di raggiungere una verità sull’oggetto (soggetto) discusso- la periferia-, e forse l’inutilità stessa del tentar di domandarsi le cose come stanno, vogliono capire appunto chi ha effettivamente potere. “ Il potere è solo di chi ha i soldi” ha detto qualche “periferico”. “Vedi”, dicono alcuni, “è la necessità di arrivare a fine mese che fa spegnere la voglia di bello ed è solo un vezzo borghese nostro quello che ce lo fa apparire essenziale.”
“No, l’arte può rendere potenti anche i poveri, è una risorsa fondamentale”, dice un altro.
“ È l’economia che fonda l’identità. Ha potere solo chi ha i soldi, ve l’ha detto lui” ricorda qualcun altro. “Già. Ma questi soldi come si fanno qui? “ chiede un altro ancora.
I ragazzi parlano, discutono, confrontano le loro opinioni anche in modo acceso, ma cresce l’entusiasmo e finalmente, dopo diversi faticosi incontri, pensano di aver chiarito per bene la questione. La marginalità della periferia, che trova nella mafia la sua causa principale, si potrà combattere cominciando da qualcuno che qui crede nel cambiamento. Ma i discorsi “buoni” valgono solo per i creduloni delle Chiese, attirati dalla pace e forza vibrante della voce del parroco all’omelia, oppure, ancora, solo per qualche sventurato che pensa che non sia affatto vero che “cu nasce tunnu non po morere quadrato”e basta?

Cambiare, lasciando che la conoscenza e lo slancio incoraggiato dal sostegno intorno, facciano il loro corso è impossibile in Sicilia, dove troppo spesso sembra che Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e tutta la lista interminabile di persone che hanno sacrificato e sacrificano la loro vita per la giustizia, non siano mai esistiti e continuano a non esistere? "

Forse questa sarà la sensazione angosciante con cui si chiuderà questa ricerca, non lo sappiamo.
La storia ha tanti bivi e questo è uno dei finali possibili. Ma questa è appunto solo una strada per fare conoscenza, senza giungere a nessuna conclusione definitiva.
E tutto quello che ho scritto qui per tentare di lasciarmi seguire nelle mie, ridotte all’osso, connessioni mentali, ribadisco come fino a quando non ci avventureremo sul serio, non può che essere aria fritta, retorica scialba, ancora confinata ad un piano del linguaggio e dell’opinione che non mi bastano più.
Ecco perché spero vogliate iniziare a fare i primi “sopralluoghi” e lasciarvi “coordinare” per la divisione in gruppi al più presto.
Alla prossima,
Silvia

martedì 15 settembre 2009

Il post di Giovanni R. : DIVISIONE IN GRUPPI

Ciao a tutti.

Sono molto contento per ieri sera, mi sembra che si siano già raggiunti risultati interessanti. L'esperimento dimostra che a Palermo ci sono tante persone in gamba, molto motivate, che vorrebbero fare qualcosa di concreto per la città, al di là del proprio metro quadro quotidiano di impegno, di vissuto o viceversa di disimpegno e di cazzeggio.

Ringrazio, quindi, tutti quelli che hanno risposto all'invito e .. ad maiora, sperando che a poco a poco le idee prendano forma in qualcosa di sempre più concreto e le energie compresse iniziino a salire verso l'alto.

Ciò detto, lancio il bando ufficiale per la distribuzione delle possibili preferenze sui quartieri o sulle aree tematiche.
Indicate le vostre scelte in modo che si possa al prossimo incontro discutere in concreto della suddivisione del lavoro rispetto ai singoli gruppi. E'importante capire il nostro interesse sulle singole zone o sui temi per iniziare a trovare i necessari contatti sul luogo.

- BORGATA (BORGO VECCHIO, ZISA)
- IL CONFINE SUL MARE (ARENELLA, S.ERASMO, BANDITA ETC.)
- PERIFERIA VERA E PROPRIA (BORGO NUOVO, BRANCACCIO, BONAGIA-FALSOMIELE)
- IL GHETTO (ZEN o meglio INSULAE DELLO ZEN 2)

Si tratta - lo ribadisco ancora una volta - di uno scheletro di massima, preliminare, orientativo, assolutamente rivedibile, riadattabile, criticabile, modificabile in relazione al nostro interesse, alla concreta esperibilità dell'indagine, all'andamento che il percorso di ricerca può avere, alla realtà delle cose, alla nostra prospettiva critica.
Dunque, ogni nuova proposta di modifica, eliminazione, aggiunta delle aree tematiche è ben accetta ed anzi gradita.
Fate sapere, grazie.

Un saluto, Giovanni (7-9-9)

Il post di Danilo

PERIFERIE(A)

Dalle discussioni emerse nel nostro primo incontro son venuti fuori degli spunti interessanti.
Credo sia essenziale, per la migliore comprensione della “periferia” in quanto luogo dell’abitare contemporaneo, l’organizzazione di una o più visite all’interno di questi colossi immaginati nonostante i pessimi risultati, per accogliere un fiume di umanità.
Già, perché se è vero che la periferia possiede connotazioni identiche in tutto il pianeta( degrado sociale e urbano, solitudine, disagio giovanile, alienazione dal contesto urbano, isolamento, chiusura…), probabilmente a causa della visione ristretta ereditata dalla pedante cultura Ottocentesca, è altresì vero che ogni periferia possiede necessariamente una specificità di carattere storico-sociale, urbano-topografica che la identifica rendendola unica e perciò analizzabile come fenomeno unitario.
Come già ricordato ieri sera, credo fermamente che nel caso della nostra città,
il ruolo predominante in questo gioco perverso che ha ridotto la totalità del territorio dalle pendici della Conca d’oro alle coste ad una scacchiera abitativa per lo più sovradimensionata e priva di servizi, sia da accreditare al connubio tra mafia e politica ed alla totale assenza dello Stato sovrano per oltre mezzo secolo.
La Palermo dei nostri nonni, quella degli anni Cinquanta, era la capitale del Liberty della scuola di Ernesto Basile, la Conca d’oro era una distesa di terreni agricoli in cui non era difficile perdersi tra i profumi degli agrumeti e del gelsomino, un complesso ed organico sistema di Ville e pertinenze, insisteva all’interno di questo mare verde intessendo con le borgate(Uditore, Cruillas, San Lorenzo, Sferracavallo, Pallavicino, Partanna, Malaspina, Crocerossa, Noce,Portello, Acquasanta, Arenella, Acqua dei corsari, Oreto, Guadagna, Ciaculli, etc…) un legame vitale il cui vettore ultimo era cuore commerciale del Centro storico.
Un’economia identitaria quella lì.
Fatta di prodotti della terra e del mare, ma di questa terra e di questo mare.
Credo che sia ancora l’economia l’attore principale delle sorti delle nostre città, del nostro modo di abitare, il danaro, quello facile, quello d’affare. La fame dei viddani provenienti da Corleone, alimentata dall’interesse oligarchico della dirigenza della democrazia Cristiana Siciliana e probabilmente del “Divo”, ci consegna oggi una realtà urbana in cui diviene improprio parlare di Periferie ma piuttosto di Periferi”A”.
Un magma saturato di abitazioni-dormitorio scarne di servizi e nonostante la vastità del territorio in questione, ancora monocentrico, la cui identità è fortemente ancorata al ricordo della dimensione abitativa dei luoghi carichi di storia del centro storico.
Una periferia dunque non come le altre malgrado le assonanze ma carica di “sensi” che a noi tocca di saper mostrare, segni, tracce di un passato negato, spesso celato dai mostri di cemento armato della speculazione edilizia palermitana, luoghi questi divenuti specchio della società che li ha generati e desiderosi di riscatto sociale.
Un’ultima considerazione prima di chiudere vorrei spenderla a favore dell’indagine di carattere estetico immaginata da Silvia come portatrice di energie positive.
Sono convinto da architetto che l’estetica tanto sottovalutata dalla nostra cultura recente, dall’arte contemporanea al modo di configurare le nostre parti di città nuova, sia la chiave attraverso la quale generare adesione, perché come amava ricordare Carlo Scarpa:” …se una cosa è bella, chi la osserva la sente…”
I luoghi della nostra quotidianità hanno infatti sul nostro benessere percettivo un’influenza enorme in termini di vissuto eppure sento che non sono configurarti come dovrebbero per accoglierci.
Concludo ricordando una considerazione fatta da Bruno Zevi qualche tempo fa, quando ci ricordava che se al cinema trasmettono un brutto film, possiamo non andarlo a vedere, se l’editoria produce cattivi libri a noi è dato di leggere altro, ma se qualcuno costruisce frammenti di città pessimi o deturpa irreversibilmente il paesaggio dei nostri luoghi, siamo costretti a pagarne tutti le conseguenze e non possiamo chiudere gli occhi per non guardare.
A presto, al prossimo incontro,
Danilo 7-09-09

I dubbi sull’importanza effettiva di costruire un impianto teorico.

Buongiorno, mie care "periferie"!
Approfitto di una pausa per scrivervi, sperando di essere letta.

Parto dal principio che l’unica costante della vita sia l’imprevedibilità.
Quanto è importante che un PROGETTO abbia una salda struttura teorica, se poi, di fatto, vince l’assenza di controllo ed anticipazione, quella serendipità che- talvolta- fa scoprir cose più belle di quelle pensate o rivela- disgraziatamente il più delle volte- l’assoluta infondatezza della scelta di rivolgersi a ciò che si voleva osservare più da vicino?

Questa seconda possibilità, direi brevemente che si realizza:

1)Perché ci sono cose più importanti di cui occuparsi prima;
2) Perché ciò che si vuole ricercare non è un “oggetto” che vuol prestarsi all’essere studiato;
3) O, ancora, trattandosi di un gruppo, perché non c’è la stessa intensa voglia di portare avanti la ricerca nella mente dei membri dell’equipe.

Questo progetto si presta a tutte e tre le “malvagie” imprevedibilità.
Ciò confesso che non mi faccia affatto paura. Mi piacerebbe portarlo comunque avanti, conscia dei limiti e delle difficoltà cui va incontro.
Ripeto ancora come non possa e non debba vendervi nulla. Lo spirito che mi ha guidato finora è stato solo quello di proporvi un viaggio nella conoscenza di qualcosa che non è affatto detto che vi interessi, ed il fatto che invece a me interessa molto conoscere non c’è alcuna ragione per cui dovrebbe incuriosirvi.
Ho già abusato di toni intimistici, raccontandovi come, mentre continuo la lotta al riconoscimento dei miei limiti, sia diventata sempre più bisognosa di capire qual è il mio effettivo “potere”.
E come in questo non abbia alcun dubbio che debba rientrare quello “politico”, in una realtà smisuratamente difficile da incidere com’è la nostra, penso di averlo anche non troppo implicitamente già rivelato.
L’interesse, insomma, non può supplicarsi in alcun modo. E l’ombra dell’esperimento di Platone di cercare di concretizzare la sua utopia, fallendo e disincantandosi al punto da esortare a non tentarla nemmeno, è per me che sono cresciuta con la Lettera Settima, un’ospite perpetua del mio essere.

Detto ciò, se il lavoro di reclutamento iniziato in queste settimane sembrerà svolgersi da parte mia con molta disponibilità ed apertura, annuncio come dovrò correggermi a breve, quando inizierò sul serio a stabilire CHI voglio con me.
Ovviamente non è una minaccia, ma devo essere chiara e sincera fino in fondo.
Quanto all’ultima riserva, ossia la possibile non volontà del gruppo a partecipare, quindi il succo è il seguente.

Gli inviti sono stati fatti spesso casualmente, solo per concedere una visione molto rapida del percorso prospettato, ma chi desidera davvero cominciare un’indagine di questo tipo ha bisogno di fare i conti con se stesso, lontano dalle mie pressioni, richieste e via dicendo, perché senta di non essere costretto in alcuna maniera a fare ciò che non vuol fare.

La prima delle “imprevedibili” cause d’arresto di un progetto simile, ossia la non disponibilità delle “periferie” a lasciarsi scrutare da giovani concittadini che non distribuiscono loro né denaro né offerte di lavoro, può essere arginata forse nella stessa maniera. Proprio perché sono diversi i componenti di un quartiere, diverse saranno le reazioni che potremmo riscontrare al nostro misterioso “interesse” rivolto a “loro”.
Posso immaginare fin d’ora che molti non gradiranno, altri resteranno perplessi, alcuni, però, magari ci stupiranno, lasciandosi coinvolgere, chi può dirlo…

Quanto alla necessità che questo lavoro abbia luce non so che dire.
Ci saranno tante altre cose più urgenti, probabilmente, da osservare.
Ma cercare di capire cosa è il bello, se esiste un bello da conoscere e tentare di difendere o promuovere a Palermo, perché possa avere delle ripercussioni fondamentali nella vita non solo di chi facilmente può accostarsi ad esso, ma anche di frange spesso inascoltate… Se davvero siamo noi i suoi portavoce e se una presunta estetizzazione della nostra vita possa renderci soddisfatti… beh, sono solo alcune delle tante vetrine smerigliate che sbattono nell’edilizia degradatissima del mio cervello e che ho ipotizzato come possibile linea di ricerca, perché capace di tirarne in ballo tante altre, forse anche più importanti.

Ecco, se volete partecipare, una volta espressa la “preferenza” sulla tipologia di periferia da indagare, vorrei tanto che cominciaste- senza alcuna fretta e secondo le modalità che vi mettono più a vostro agio- con il raccontare cosa sia per voi la bellezza.
E così, forse, intanto i miei “interni “ scricchioleranno di meno. E, soprattutto, inizieremo a vagliare la fondatezza o meno della “teoria” da anteporre ad un’analisi che vorrebbe porsi al di là della teoria stessa , per potersi trasformare in conoscenza (ovviamente mai definitiva).
Aspetto vostre notizie.
A breve vi informerò sulla data ed il luogo del prossimo incontro, presumibilmente alla fine della settimana prossima.
Buona giornata!

(S)oggetto dell'indagine

(6-9-9)

Spiegate le ragioni, andiamo all'oggetto.
Le periferie... Termine ambiguo. L'etimologia è greca, Peri-fherein, ossia "portare intorno". La periferia è la circonferenza, insomma.

Spero che la discussione di stasera arrivi ad una certezza almeno riguardo quali siano le "nostre" periferie.
Proprio perché ho il sospetto che non esista una vera e propria periferia palermitana, a parte quelle "naturali" del mare e delle montagne che chiudono Palermo in una conca, al momento per me è importante studiarle a seconda della loro tipologia per mostrare similitudini e differenze tra le stesse e tra queste e quello che normalmente non viene considerato "degradato", "zona a rischio" e via dicendo.
Ho scelto allora quattro differenti tipologie:

TIPOLOGIA UNO
Borgata, ossia qualcosa che non è "sulla circonferenza", ma resta come un'enclave, con un proprio codice linguistico, comportamentale e di potere, che non si capisce quanta connessione abbia effettivamente con ciò che lo circonda.
Le borgate da indagare sarebbero BORGO VECCHIO e ZISA.

TIPOLOGIA DUE
Il confine sul mare. Ho da sempre creduto ingiusto che il mare non sia sufficientemente esaltato a Palermo, a differenza di quanto accade in altre città della stessa Sicilia. Ne parleremo in abbondanza, intanto annuncio su quali "zone" mi piacerebbe a questo proposito lavorassimo:
ARENELLA e S.ERASMO (?)

TIPOLOGIA TRE
La periferia vera e propria, laddove c'era campagna. Sarebbe allora interessante studiare meglio il rapporto con la natura. Quanto la terra è stata usata come risorsa effettiva? Questo è un argomento molto inquietante, quello che più mi sta a cuore forse in assoluto, e che tira in ballo discussioni sul senso del progresso, sollevando riflessioni sullo scempio del paesaggio e la necessaria difesa dell’ambiente che per vivere- sopravvivere- nel postmoderno dovrebbe riguardarci tutti.
Sono tematiche sentite dagli abitanti di queste zone? Hanno problemi ben più grandi da risolvere, immagino..
Le periferie da studiare, molto diverse tra loro, potrebbero essere: BORGO NUOVO E BRANCACCIO

TIPOLOGIA QUATTRO
Il ghetto.
ZEN
Si sa, lo Zen è un capitolo a parte. Ne parlerò dopo esserci entrata almeno una volta.


Le tre linee tematiche scelte, "bellezza, immaginazione, necessità", "le radici delle solitudini", "identità e potere", applicate a queste zone, credo porterebbero portarci rispettivamente ad indagarle con in mente i seguenti obiettivi:

1) Alla luce anche dello studio delle periferie di altre città, cogliere la specificità di quella palermitana.
2) Quanto interesse viene mostrato per queste zone dai politici? Quanto da coloro che non abitano lì, i "non periferici"? Se esiste un'indifferenza alla riabilitazione di queste zone, qual è la sua causa? I rappresentanti delle circoscrizioni possono e non agiscono, non possono e non agiscono, possono ed agiscono?
3) Le connessioni di questi luoghi con la mafia. L'appartenenza.

Come si può uscire da questo circolo? Come si può immaginare che queste persone possano creare una nuova identità e rivendicare i loro diritti?
La bellezza naturale, che si chiama campagna e mare, ed "immaginata" dall'uomo, ossia l'arte, è costretta dalla necessità ad arretrare. La necessità spegne la voglia di bello. Senza avventurarmi in complesse analisi filosofiche, ricordo una frase di Mauriel Barbery, autrice dell'"eleganza del riccio": "Ai ricchi il dovere del bello. Altrimenti meritano di morire.".
E chi ricco non è?

Devo pensare che si debba accettare l'esistente e tollerarlo nelle sue ingiustizie, imparando a fare solo il proprio, ignorando ciò che intorno accade? Questo se pensassi che non ci sia nessun rimedio, ma io credo che nulla sia più difficile del cambiamento, ma nulla è più sciocco di crederlo impossibile.

Sono irredimibili? No.
Se la bellezza spinge a riconoscersi in un centro comune, alternativo rispetto a quello del potere locale mafioso, può essere concepita come risorsa indispensabile o è un'illusione senza alcun fondamento?

Dico bellezza in un modo enigmatico, perché per me è il mistero più grande di tutti.
Il degrado è l'assenza di bellezza. Noi mi piacerebbe che studiassimo gli effetti del luogo sulla persona per avere sempre più chiara consapevolezza delle influenze dello spazio sul proprio modo d'essere. E i residenti in queste zone? Ne sono consapevoli o no? Votano qualcuno che garantisce loro l'accesso alla bellezza o no? Alcuni si, altri no, forse. Esiste insomma un problema "periferia"- da intendersi nel senso di "degrado", brevemente spiegato sopra- per chi governa? O non può esistere perché chi dovrebbe decidere è già periferia, perché subordinato ad un altro potere più grande?
Chi è il capo?

Chi?

(6-9-9)

Progetto periferie...Chi?
Ancora in fieri.
Non è ancora certo CHI parteciperà e questo non può dipendere ovviamente da me, che, pur potendo, qualora fossi più riposata di adesso, tentare la strada della persuasione a tutti i costi, non intendo costringere nessuno ad aderire ad un progetto, che mi rendo conto appaia fin da subito pretenzioso, un colosso dai piedi d'argilla.
Bene, pur avendo lo stesso nome, non miro al consenso come Silvio, giuro, eppure ormai vi è chiaro quanto ceda spesso ad una retorica fastidiosa..arginatemi essendo schietti fino in fondo, vi chiedo fondamentalmente questo.

Intanto ricordo come ogni "elemento" del gruppo- dei gruppi- avrà la possibilità di esprimersi liberamente, perché il mio compito principale è quello d'impegnarmi a tutelare, mantenendo ferme le linee d'indagine, l'originalità di ciascuno, perché nessuno debba piegarsi all'idea di far parte di un gruppo come fosse di pecore e non persone.

Ma chi partecipa? E perchè è stato "scelto"?
Interesse e sensibilità, in primis, e una competenza specifica da mettere in circolo perchè questo progetto gradualmente prenda forma, fino ad avere un'anima sua...

Ricordo le " categorie"immaginate, riconfigurate adesso nella seguente maniera:
1)Architetti
2)Filosofi
3)Giuristi sensibili
4)Psicologi
5)Artisti
6)Documentaristi
7)Gruppo misto 1 (Storici, sociologi, antropologi)
8)Gruppo misto 2- esterni e mediatori-: Giornalisti, economisti ed altri membri non fissi nei gruppi, più l'Università e coloro che potremmo invitare più avanti per arricchire le nostre prospettive sulle zone studiate.

Di ogni singola categoria, dovrei adesso tentare di delineare gli obiettivi che potrebbero porsi? No, gradirei che foste voi a pensare con me come potreste effettivamente mettervi a disposizione.
Non ci insegue nessuno ed io ho più volte ribadito quanto, sebbene nevrotica rimanga, ho bisogno di sentirmi coordinatrice ma non tiranna.
Per questo motivo, rientrata da Berlino il 13, spero di incontrarmi con ciascuna delle "categorie" reclutate, eleggendo, almeno per le prime sei categorie, un "capocategoria" che divenga punto di riferimento, a sua volta non "dittatore", dei lavori "specifici".

La divisione dei compiti è essenziale perché questo progetto possa procedere.
Non voglio lavarmene le mani, ci mancherebbe, ma lavoreremo tutti meglio, stupido ricordarlo, se i criteri guida non saranno idiotamente concepiti.

Nelle seguenti settimane verranno formati i "gruppi" compositi e saranno assegnate le "zone periferiche", o per sorteggio o seguendo i desideri di alcuni che potrebbero già aver lavorato su alcune zone, viverci o preferirle per altre ragioni.

Detto questo, ne parliamo più tardi e nel futuro prossimo...Bye

Progetto periferie...Come? Una gravidanza!

(6-9-9)
Sull'importanza della distinzione tra "metodo" ed atteggiamento già ho scritto altrove. C'è poi da chiedersi se il modo possa essere più fluido se sostenuto economicamente.
Soldi ce ne sono? Ne parleremo più tardi.

Ho stravolto rispetto a quanto detto la struttura ed ora ve la illustro, anche per chiarirmi un pò le (troppe) idee.
Tanto per cominciare, posso dire che questo progetto avrà la durata di 9 mesi.
Stabiliti i gruppi, a seconda della vostra disponibilità, potremmo iniziare ad ottobre.
Se l'idea iniziale era che ciascun gruppo avrebbe potuto indagare ogni zona, variando ogni mese la sua periferia fino ad eleggere quella del suo cuore- scherzo-, mi sembra molto meno superficiale e più semplice al tempo stesso assegnare ad ogni gruppo una "periferia".
Altro cambiamento.
Come sapete, il documentario vorrei illustrasse anche i nostri incontri, i momenti, cioè, durante i quali i magnifici sette gruppi si confronteranno, parlando di ciò che hanno visto, sentito, ripreso, fotografato, pensato ed immaginato della loro "periferia".
Ora, anziché vederci ogni mese per le riprese delle discussioni, direi di organizzare tre grandi momenti, intitolando ciascuno alle famose tre linee tematiche che chiarirò meglio qui. Scandiamo quindi in tre tranche la ricerca, in senso cronologico solamente di "raduni" per fare il punto della situazione, non di modalità d'indagine, mi spiego? No? Dobbiamo parlarne e vi chiarirò.

La prima riguarderà "bellezza, immaginazione, necessità".
Come me l'immagino? Nei primi tre mesi parleremo di queste tematiche, vedendoci quanto più spesso possibile, ma utilizzando anche il sito internet che avremo a breve a disposizione. Perchè non siano discorsi del tutto non scientifici, è obbligatorio un confronto con le bibliografie esistenti ( penso agli studi già fatti in altre città sulla riqualificazione delle periferie, sul senso della periferia e se ne esiste davvero uno, per esempio).
E parlerei con le persone che vivono là per coinvolgere quanto più possibile, per capire cosa ne pensano della bellezza e se ne percepiscono con disagio l'assenza..vorrei si potesse chiarire come sentono il loro luogo, attraverso una serie di riferimenti al ruolo dell'arte nel mondo. Intervistare i politici, sarebbe meglio insieme agli abitanti stessi, che si occupano di quelle zone, gli amministratori che malamente amministrano.
Sarà la fase di preparazione, in cui prendere confidenza con la propria zona.


E sarà la fase in cui potranno essere immagino subito stimolati gli architetti, prospettando novità o progetti di recupero.
I filosofi già li immagino discettare sul ruolo della bellezza e su Marx, il capitalismo, il nichilismo, Heidegger e via dicendo..
Se la bellezza ha un potere salvifico, salva solo una piccola élite? Potrebbe salvare il mondo o oggi non c'è più rimedio, per borghesi e periferici, perché la tecnica ci ha totalmente dominato?
Questa è la premessa teorica da cui vorrei partissimo per seguirne gli sviluppi, giungendo a possibili risposte, che non chiuderanno naturalmente l'indagine, ma potrebbero segnare un passo in avanti nel fitto terreno della conoscenza.

L'altra novità, prospettata già con Danilo qualche sera fa, è l'idea del workshop.
E credo che proprio in riferimento a questa prima linea tematica, sarebbe interessante venisse realizzato, magari nella casa a Mondello, non mia, ma della "famiglia":)


Vorrei che fosse un modo per intendere meglio, a prescindere dalla realtà palermitana, il rapporto tra uomo e paesaggio e la possibilità del primo di incidere sul secondo rispettandolo o aggredendolo.





La seconda tranche riguarda "le radici delle solitudini".

Ci racconteremo anche noi. Il senso della ricerca durante le discussioni forse diventerà: esistono davvero le periferie? Se il riflesso dello spazio sull'uomo è condizionante, non siamo tutti "livellati", "inghiottiti" dalla tecnica?
Cosa sta accadendo oggi, almeno secondo la mia percezione, se, laddove esiste, la bellezza dei luoghi viene di continuo violentata?
La natura ci può salvare? E come vedono la natura coloro che immaginiamo "delinquenti" e deviati?
In periferia come nei quartieri degradati i sogni si assomigliano o no? Non crediamo tutti nell’amore? Non siamo tutti accomunati dall’impossibilità di interagire con un mondo che ci illude possa essere dominato per la maggiore informazione che ne abbiamo ma che non ci può garantire nessun’azione, nessuna politica di intervento, giacché la classe politica decide molto poco?
Chi sono davvero gli invisibili?

Quando ci confronteremo su questo argomento, sarà soprattutto la volta degli psicologi, sociologi, antropologi eccetera, che forniranno dati, mediante cui spiegarci in quale modo può essere seguito un caso. Osserveremo i comportamenti di immigrati e non, cercheremo di intuire ciò che non si può ben spiegare..ci appoggeremo alle scuole e ai centri sociali operanti in ogni singola zona periferica, guardando agli studi già fatti.

Ci vediamo e parliamo a casa mia a Mondello, se volete, senza workshop, mentre gli architetti continuano a lavorare su quello che hanno presentato tre mesi prima.

I filosofi possono parlare di chi è l'altro, del postmoderno, del modo in cui è concepita la ricerca del bene oggi rispetto a tanti anni fa e rispetto ai Greci, magari. Ma è tutto da concordare.

L'ultima tranche sarebbe "Identità e potere".

Questa è la fase più delicata, perchè, dopo aver raggiunto una consapevolezza maggiore del problema ed una capacità d'interagire tra di noi e con loro si spera adeguata, sarebbe bello sforzarsi di coinvolgere alcuni abitanti nel prendere coscienza attraverso l'arte della risorsa che possono rappresentare, della resistenza che devono mostrare a chi vuole solamente usarli per aumentare un potere che non va a loro nutrimento.
Dove vivi, Silvia? Non lo capisci che il problema è proprio qui? Il potere è quello mafioso. Sono famiglie appattate con il potere politico. Lo Stato non esiste perchè è l'amministrazione stessa ad essere collusa..Oibò, ma che dite?
Bene.
Ma lo sapremo in un modo che non ci potrebbe restituire nessuna lettura, credo.
Quindi..anche se non cambieremo la città, cambieremo noi stessi in modo radicale, direi. E credo che questo già possa bastare.

Durante la settimana di workshop svolta da ogni gruppo nella periferia di pertinenza, saranno coinvolti tutti, artisti in primis, avanzando proposte di recupero, integrazione e via dicendo, che sappiano mostrare come la formazione dell'identità avviene solo se ci sa riconoscere parte della comunità e nel caso della situazione palermitana questa è abbandonata a logiche che, anche se è poco e nulla, in fondo noi mostreremo di disprezzare, restando dubbiosi ma tenaci nel credere che da tante miserie ingiuste questa città possa lentamente riscattarsi.

(I filosofi possono parlare di "riconoscimento", tema trattato benissimo dal nostro ateneo palermitano.).

Penso che, lavorando poi l'estate bene, per quanto riguarda pubblicità, fondi e via dicendo, potremmo a settembre 2010 esporre i nostri lavori e il nostro documentario, lasciando filmati integrali di ogni zona coinvolta alla zona stessa, come simbolo da cui ricominciare a credersi viva perché bella, bella perché viva..

Mmm...già è stato un parto scrivere queste cose, ne parliamo più tardi.

Altri perché del progetto


La nostra sola giustificazione, se ne abbiamo una, è di parlare in nome di tutti coloro che non possono farlo.
(Camus)

Solo chi ha il coraggio di essere assolutamente negativo ha la forza di creare ciò che è nuovo. (L. Feuerbach)


Le ragioni di questo progetto.

Una buona parte dell’estate mi sono interrogata a lungo sul rapporto tra luogo e “coscienza”. Che dire.. "L’uomo, per il semplice fatto di essere uomo, di aver coscienza di sé, è , in confronto all’asino o al granchio, un animale malato. La coscienza è malattia." Miguel de Unamuno, Del sentimento tragico della vita.

O ancora "La coscienza è soltanto una parola che sogliono usare i vigliacchi, ed è stata inventata apposta per tenere in soggezione i forti." Shakespeare, Riccardo III, Atto V, Scena III (Re Riccardo)...
E non citiamo Nietzsche.

Sia quel che sia, solo nella natura riesco a sentirmi bene, come accade probabilmente a tutti.
Cosa c’è oltre me? Cosa c’è oltre il ritmo delle mie giornate, i doveri del "capo", le preoccupazioni derivanti dalla situazione politica odierna, le nevrastenie generate dal rapporto con il mio corpo e con il mio cuore, la dolcezza e la tristezza che scaturiscono dalle interazioni con i miei amabili amici, la difficoltà continua del sapersi mettere a disposizione del partner (quando lo si ha) indovinando in che momento di apertura effettivo egli o lei possa essere per tentare di andare al di là della mia visibilità?
La natura e il divino, “certamente”(di certo la prima, del resto non saprei..).
Ciò che noi chiamiamo natura è un poema chiuso in caratteri misteriosi e mirabili. (Schelling)

Ma ci sono altri uomini. Li conosciamo? No, ovviamente non si diventa amici di molte persone nella vita.
Eppure siamo una città. Vuol dire qualcosa?
Nient'altro che non sia il fatto che abitiamo in un tempo coevo la stessa terra, immagino. Alcuni di passaggio, altri a lungo. Non moriremo forse qui, non avremo figli da crescere nelle nostre scuole palermitane, non lo sappiamo.
Ma siamo tutti, momentaneamente o meno, palermitani.
Può essere tutto e nulla e ho scarsamente in passato creduto importante tutelare l’appartenenza ad un luogo, credendo nel cosmopolitismo al punto da non introiettare nemmeno un po’ dell’essere palermitani, se non in forma molto inconsapevole ( e che ora vorrei diventasse consapevole).

Ho fatto il Garibaldi. Una visione limitatissima di cosa voglia dire la realtà cittadina, una porzione nettamente privilegiata e sempre più disinteressata a sentirsi solidale con le minoranze se non per darsi un tono da radical chic. Questo è stato per me l’essere garibaldina alla fine degli anni ’90. Un’esperienza diametralmente opposta a quella fatta dai miei genitori, ma mia. Ed è stato poi soltanto colpa mia chiudermi in me stessa e non comprendere, al di là della letteratura e dei film, manifestazioni, qualche dibattito e via dicendo, cosa sia ciò che è al di là del borghese.

Fratture radicali le ho sognate in solitudine e tradotte in sceneggiature varie mai completate, ma a che cosa è servito se non ad aumentare il mio narcisismo?

Questo è il mio personale modo di vedere le cose. Ognuno di noi ha un passato diverso ed è meraviglioso che venga fuori, senza paura che l’altro derida o blindi in un assenso ciò che le parole, rotolando leggere, stentatamente possono raccontare.
Ciò che siamo stati, ciò che siamo e che saremo non verrà marcatamente fuori in questo modo, lo so.
Ci si conosce e riconosce in molteplici ambiti, ma se questo può servire anche a vedere più nitidamente certe cose delle nostre vite, potremmo ritenerci un pochino soddisfatti, no?
Non credo esistano vite davvero felici. Le radici della solitudine sono molteplici e non s’identificano interamente con quelle assenze materiali che riscontreremo in queste periferie. Sono di natura composita e non può esaurire una ricerca su di esse nemmeno una generazione.
Ma questo è il tempo più beffardo di tutti, concedetemi di dirlo. Perché ha preteso di dichiararsi felice, pago del benessere e del piacere, nascondendo orrori solo perché non ha avuto sufficiente forza, coraggio e determinazione per riconoscerli e prepararsi a combatterli.
La crisi economica ha fatto vacillare profondamente le ragioni del capitalismo e si è parlato tanto di sobrietà e necessità di ricalibrare le "categorie" esistenziali, sottolineando l'urgenza di reinventarsi una solidarietà, così facile da pronunciare, così difficile da realizzare.
Cosa è cambiato effettivamente?

Non so quanto sperare fino in fondo in qualcosa restituisca la serenità. La mia inquietudine, personalmente, è così radicata che temo condurrò giornate estremamente altalenanti per tutta la vita e questo non è affar vostro. Ma siccome è diventato troppo pesante perché sia solo mio, metto in ballo il mio affare sperando che possa alleggerirsi in questa nuova dimensione.
Perpetuamente alla ricerca, come gli altri, di ciò che ancora non so, non sento, non comprendo, non amo come vorrei, sento il bisogno di capire quanto Palermo abbia avuto degli influssi notevoli sul mio modo d’essere.
Politico, quindi, ma anche molto, infinitamente egoistico è questo progetto, me ne rendo conto. Forse anche il voler sapere meglio, ad esempio, cosa voglia dire quel luogo comune sulle “ragazze palermitane” -miscuglio, a quanto sembra, di frigidità e stupidità cronica-, che tanto spesso ho trovato sulla bocca di amici, periferici e non, sempre più di frequente negli ultimi anni, ecco, anche questo è un motivo personale che contraddice lo spirito a lasciar parlare le cose stesse, obliando il mio personale interesse.
Vi domando però a questo punto se ci sia un’identità femminile nuova e non l’abbiamo ancora ben chiaro... La ragazza palermitana! È un modello di riferimento o da rigettare? Scherzi a parte, che dire..Provochiamoci fino a morire dal ridere, se volete, ma non condanniamoci all’assenza di criticità.
Odiare i ragionamenti equivale ad odiare gli uomini, secondo Platone. Se ragiono tanto, in fondo, potrebbe dirsi che non vi odio (quanto meno non sistematicamente..).
Purtroppo non ho che rare volte ragionato benino, però sono pur sempre la bambina che mia madre mi ricorda spesso rompeva i coglioni ai bambini incontrati per strada, dicendo “ciao, io sono Silvia, e tu come ti chiami?”. Una grande scassacazzi, insomma, una profumiera ante – litteram, probabilmente, non esito a riconoscerlo, come accennai qualche tempo fa alla mia amica Daniela, dal momento che è stato spesso equivocata quest’apertura, e lo capisco.
Ma che volete..ognuno nasce con una natura e può modificarla quanto vuole, anche con quintali di forzato disprezzo per gli altri pensando di poter cercare meglio sé stessi rinunciando ad ognuno di loro... e chiudersi per mesi a casa e teorizzare l’assenza di rapporti amorosi come indispensabile… ma, per fortuna, qualcosa non cambia ed è per questo che sono qui, sempre single, ma felice di essere-nel-mondo (palermitano).

Com’è la realtà periferica palermitana? Com’era qualche anno fa? Come potrebbe diventare?
Qual è la sua specificità, se ne esiste una, rispetto alle zone periferiche delle altre città?

Come può una città, tutto porto, che nella sua storia è stata un proliferare di scambi, aperture e commistioni essere inospitale con gli immigrati, picchiati vicino alla stazione? Se prima guardava interamente al porto ed ora sembra non poterlo fare, non dobbiamo chiederci qualcosa?

La città è i suoi cittadini, ma c'è un tratto comune, quell' insularità dell'animo, che ci riguarda tutti, o non c'è?
Cosa è questa sicilianità, ammesso che ci sia?

Qual è il rapporto tra la mafia e i luoghi, qual è davvero questa relazione, percepita miliardi di volte attraverso letture, documentari, ma mai sul serio in prima persona, abitando in una zona - apparentemente almeno- "tranquilla"?
Tutto comincia negli anni Cinquanta?
Ci sono troppi interrogativi cui mi piacerebbe ci sforzassimo di rispondere, ma insieme, sfaccettando in molti modi le possibili risposte, mai definitive, che sorgeranno durante il nostro lavoro.

Io andrò con buona probabilità in Germania a settembre dell’anno prossimo. È necessario per portare avanti l’altra ricerca per cui vengo pagata e che sarà ciò che mi impegnerà primariamente nelle mie giornate.
Ma la serietà che intendo riporre nel lavoro accademico deve combaciare e crescere parallela a quella che intendo soffiare su questa ricerca, che mi vedrà sua coordinatrice, formulatrice di ipotesi e di concetti. Basta dire più si, che significano fatica, amore e devozione. Chi dice no non vuole nulla, rifiuta di porsi in contatto con il mondo credendosi il solo a soffrire, a porsi domande inquietanti, a vivere di stentate immagini e parole che non rispecchiano mai ciò che accade nel mondo, rinchiudendosi in una constatazione perpetua della vanità del tutto.
Il nichilismo, il destino secondo i più importanti filosofi della prima metà del Novecento di questa tradizione occidentale, è a mio avviso ciò contro cui bisogna lottare con una forza vibrante ma mai “dannunziana”, temeraria, che pensi di poter trascurare pericoli, difficoltà ed ambiguità, proponendo toni esaltati che hanno fatto più volte nella storia impazzire coloro che , assetati e disillusi, si sono lanciati su carri che credevano portassero verso la vittoria, ma erano solo di vincitori ignobili, decisi a far trionfare l’unità (dogmatica).
L’unità convive con la molteplicità. Non c’è unità che si possa pensare, dire, sospirare, toccare, sentire con il cuore, la mente ed il corpo che non passi dalla molteplicità. Difendere la molteplicità non è una gentile occupazione di chi retoricamente si dichiara aperto alle ragioni degli altri e professa umiltà senza pienamente riconoscersi limitato. Difendere la molteplicità è il solo modo per restare sbigottiti dalla bellezza. Dal bello della natura che compare in differenti forme, dal bello degli uomini, che racchiude storie che non si possono narrare e che possiamo solo intuire attraverso segni fonici, scritti, sguardi, sorrisi, balli, dipinti e tanto altro e dal bello che portiamo dentro e che non è mai identico a quello che avevamo da bambini. Ma si articola di continuo, muta il suo sapore e la sua traiettoria, a volte ci sembra sia svanito per sempre, solo perché abbiamo concesso troppo potere all’accondiscendenza, al mancato reagire a tutte le difficoltà e atroci problematiche che può capitare di incontrare in modo radicale nell’esistenza, o sfiorare appena, restando comunque coinvolti in constatazioni angosciate e tetre, capaci di spezzare l’innocenza dell’infanzia.
Forse sì, c’è il fanciullino in ognuno di noi, ma evitiamo di parlare come Pascoli.

Questo progetto non deve finire quando me ne vado. È un progetto permanente, perché permanenti restano i conflitti, le contraddizioni, i confini, i limiti che continuamente possiamo scegliere di sfidare o ignorare, ma esistono. Se non accettiamo i limiti non accettiamo nemmeno noi stessi, è banalissimo ricordarlo, ma è così. Siamo spesso sedotti dalla perfezione perchè la fibrillazione del desiderio è costante, incentrata sul "tu vali" e puoi sempre più arricchire te, te, te, te solo, uomo occidentale mediamente ricco, che, per esempio, allarghi e assottigli pancia e fianchi non per improvvisi raccolti buoni o tragiche carestie, ma perché talvolta vittima di una volontà molto debole e di un mercato troppo forte. O ancora svuoti lo sguardo di ogni ideale perché intorno ti sembra non possa mai nascere l’autorizzazione a rendere credibile il tuo intento, diventando arido e sempre più sospettoso della capacità d’amare altrui. O confini in una densa, nobilissima ricerca di trovare equilibrio nella sfera affettiva tutto quello che è il tuo "potere fare", garantendo una generosità preziosa esclusivamente ai tuoi cari. Oppure trovando dopo anni una giusta via di mezzo tra la devozione per il tuo privato e lo slancio a curare problemi che non ti condizionano immediatamente in prima persona, ma ti coinvolgono e senti richiedono la tua partecipazione. Sono molteplici le forme in cui possiamo vivere oggi. Non c’è una strada migliore delle altre, ognuno sceglie la sua, dirottando più volte il suo percorso, iniziando altri tragitti e magari abbandonandoli di nuovo, una volta scoperto il loro essere dei vicoli ciechi o la loro enorme lunghezza. Non giudico la mancanza di coraggio né l’ingenuità di chi si fa abbindolare, perché c’è sempre una forza in ciascuno che esorta al riscatto e di questa forza sono convinta sia consapevole ogni essere umano.
Torno ancora a William..."Considero il mondo per quello che é: un palcoscenico dove ciascuno deve recitare la sua parte".
Le molteplici strade che iniziamo a percorrere recitando o restando spettatori, siano soltanto segmenti o grandissimi viali, ho capito nel tempo che diventano davvero palcoscenici in cui ciascuno ha sempre la possibilità di assaporare l’assoluto. E quest’esperienza meravigliosa non richiede denaro, capacità fuori dal comune, bellezza esagerata o chissà cos’altro. Sono momenti che definiamo spesso poetici, varchi nella pesantezza della vita in cui la si coglie in tutta la sua potenza e si è grati e paghi di esserci, malgrado tutte le insoddisfazioni e la lista infinita di rimorsi e rimpianti che ci si sforza di cancellare ma cammina sempre, come se fosse incollata al petto, con noi.
Riuscire a scoprire altri compagni che hanno quella stessa luce negli occhi è ciò che più intensamente desidero da questo progetto. E so di essermi rivolta a persone che questo sogno non lo deluderanno, ma spero ancor più profondamente che potrò incontrare questa stessa energia vitale negli uomini e nelle donne che conosceremo insieme, in quei luoghi pretesto d’indagine solo per poterci concedere il giusto slancio a fiondarci nella nostra città con uno spirito differente, che rompa la monotonia, ma che, come ogni nuova strada, rischia di ripresentare le stesse caratteristiche di quelle precedenti o manifestare inattese, sconosciute insidie.

Progetto periferie...Perchè?

Perché questo progetto? Quale scopo si propone, quale obiettivo?
Potrei dire che il primo è quello di denunciare ciò che accade in alcuni quartieri periferici, invisibili ai più. Ma più che altro vorrei che riuscissimo a mostrare, da filosofa direi "lasciar essere", ciò che è sotto questo cielo palermitano, grazie al contributo di coloro che si adopereranno a render degno di voce chi e cosa forse rischia di essere totalmente dimenticato.

Sto cercando di lottare contro molte mie illusioni di nuovo e scoprirò probabilmente quest'anno con più convinzione come la sola mancata illusione devo essere io. Esserci pienamente, costi quel che costi.
Riuscire a capire fino in fondo gli influssi della città credo sia molto importante. Tempo, spazio, persone incontrate... Quante particelle lavorano, attentando al bello o sprigionandolo, per ciascuno di noi.

In questo lavoro abbiamo l'occasione di sentirci familiari e trasferire lontano il senso d'impotenza, perché circoscrivere un luogo su cui operare le nostre indagini e confrontare le nostre idee, senza che sia previsto un dialogo con un potere sordo ed indifferente a restituirci il consenso che conta perché acquisti visibilità ciò che si è "prodotto", credo sia il fattore fondamentale, capace di fare la differenza, di questo progetto.
Insieme, come una piccola cittadina, possiamo sforzarci di "guadagnare", in termini di conoscenza, la grande città (forse un grande "paese") che ci ospita tutti.
Ci farà certamente male. Ma la fatica è una risorsa. Chi risparmia non ottiene niente di nuovo, è banale dirlo. Dal sudore, dalla pazienza, dalla tenacia nascono tutte le cose belle, i pensieri più impetuosi, le storie d'amicizia e d'amore più forti, no?
Mi hanno detto i miei, tornati da un viaggio a Genova, che in via del Campo c'è scritto: "dal letame non nasce niente". Anche lì, dov'è nato e ha composto uno dei più grandi poeti del secolo scorso (lo era per Fernanda Pivano, l'ho sempre pensato anch'io) come Fabrizio, che ha centrato proprio sui dimenticati la maggior parte della sua musica, ebbene, anche lì forse non ci crede più nessuno.
La risalita, la ripresa, la capacità di sfidare queste oscure leggi ingannevoli che lasciano credere che solo il portafoglio abbia "valore", non vuole coltivarla davvero più nessuno come possibilità?
Sì. Esistono piccole forme di resistenza che di continuo vengono prospettate e vissute da moltissimi uomini e donne del nostro tempo, che cancellano la passività e realizzano le loro aspirazioni in campi diversi, mettendosi totalmente in gioco.
Questo progetto sulle periferie palermitane non è che una tra le tante possibili strade di resistenza, che vuole credere nel cambiamento, prendendo sul serio fino in fondo tutto ciò che lo ha reso impossibile finora , comprendendo in differenti maniere, secondo molteplici punti di vista, quante modalità denigratrici dell'uomo e del suo principio speranza, direi, hanno agito sulla realtà palermitana negli ultimi decenni.
Scegliere le periferie, infatti, ovviamente più recenti, è anche un modo per delimitare il tempo storico che c'interesserà scrutare, senza necessariamente dover andare ad indagare l'origine, perduta nella storia, del "fenomeno mafia", ad esempio.
Ma quali sono davvero le ragioni nascoste in quest'iniziativa? Cosa mi ha spinto ad agosto a bofonchiare vaghe idee sulla possibilità di coltivare insieme un "sogno"?
Negli ultimi mesi, molti di coloro che mi conoscono bene da tanti anni, pur abituati alle mie crisi cicliche, credo che mi abbiano riconosciuto a stento.
Si cambia sempre, ma io stavo andando indietro. Ho distrutto me stessa ancora una volta e mi appresto a ricostruirmi di nuovo. Dopo intense fasi di messa in discussione dei miei inganni, mi ero quasi arresa a convivere con essi, trascuravo i miei doveri e scrivevo e pensavo troppo in solitudine, angosciata da miliardi di motivi.
Questo bisogno di riscatto personale è sicuramente alla base del progetto, che sempre nasce, non so se siete d'accordo, da un pò di confusione, ansia, necessità di lasciarsi il negativo alle spalle, ipotizzando possibili alternative che incoraggino a guerreggiare con determinazione con la sofferenza.
Ma sarebbe molto meschino aver pensato di rompervi le scatole per "salvarmi", quasi dovessi crearmi un passatempo che per attuarsi non tenga conto degli affanni delle altre vite.
Ci sono altre ragioni, dunque.

Come sia nata quest'idea è, in realtà, molto più semplice raccontarlo.
Stavo leggendo un libriccino intitolato"Paesaggio e coscienza", uno di quelli che si usano come sostegno per le tesine del liceo, sgraffignato a mia madre, insegnante d'italiano e storia.
Mi ha sempre molto affascinato cercare di chiarire le influenze dello spazio sull'uomo e di questo su quello.
Ma perché proprio le periferie? Non potevo propormi di setacciare viale Lazio e indovinare quanto avesse potuto rendermi ciò che sono, anziché venire ad inquietare voi sulle periferie palermitane?
Indagherò sul mio quartiere, anche perché come queste periferie si inserisce in ciò che l'architettura palermitana lascia in consegna alla storia del Novecento.
Domenico mi spiegava l'altra sera come davvero Palermo non abbia un centro. Siamo tutti periferici o forse tutti centrali, chi lo sa.
Ma è certamente nelle zone al limite che l'edilizia mostra quanto le ragioni industriali abbiano vinto su altre, più profonde, che volevano assicurare abitabilità senza ignorare il legame viscerale dell'uomo con la terra. O forse non è così, ed il "naturale" è rispettato, ma io lo ignoro? E perchè, nel centro storico la situazione è in ogni caso differente?
Ho moltissime domande, che ovviamente non riguardano esclusivamente i luoghi, ma gli abitanti delle zone scelte (ma che forse saranno cambiate...urge inserire l'Arenella), con i quali vorrei tentare un dialogo per cogliere differenze e similitudini, forse arrivando dopo tutto a pensare che la "periferia" è solamente uno stato d'animo, quella marginalizzazione di chi resta lontano dal centro per noia, disincanto o chissà quale altro motivo, fino a non vedere più la causa delle decisioni e trovandosi a subirle anche se ingiuste, forse proprio perché incurante del ruolo di sorvegliante che spetta a chiunque.

Una ragione, anzi un paio, sono di natura "filosofica".
Annoierei di certo dilungandomi a spiegare a cosa mi riferisco, ma mi limito a citare la "fenomenologia del rifiuto", la speranza che un "bene comune" possa ancora esistere, il ruolo non solamente estetico della bellezza (avevo focalizzato specie su questo inizialmente l'idea..forse alcuni di voi ricorderanno che avevo battezzato il progetto "meraviglia e rifiuto"...) e l'indagine inesaurita ed inesauribile sul come si afferma l'identità di un singolo, come quella di un gruppo, senza arrivare ad annientare il bisogno di sentirsi parte di una comunità.

E certamente c'è del "politico", come ho già scritto su facebook e trovate sul blog di Giovanni. Faccio un piccolo copia e incolla anche qui, su.
"Questo sarà un lavoro intrinsecamente ed estrinsecamente politico, sappiatelo.Ognuno di noi ha idee differenti e non ci sarà nessuna tessera a condizionarci. Ma politico , per come limitatamente può essere forse pensato oggi questo aggettivo, è forse soprattutto ciò che non si rivolge più alla propria esistenza per cercare possibili risposte, perché sente il bisogno di anteporre il sentirsi parte di una comunità alle deboli percezioni dell’individuo. E pretende un confronto con quella non solo per capire meglio la propria identità- che può forse dirsi semplicemente un effetto di quell’apertura- ma per comprendere un po’ meglio il proprio tempo, osservandolo, denunciandolo, andando al di là della denuncia stessa, perché ci si sente comunque suoi protagonisti.Ciò che s’impara è, insomma, la responsabilità che fa crescere, nel provare a supporre strategie che possano modificare consuetudini erronee e portarle avanti verso una loro effettiva realizzazione.....
Facebook e l’impegno politico è un dualismo che non regge. Come qualunque social network, s’illude di far politica facendola online. Utile si, fondamentale per molte fasce di quelli che un tempo erano esclusi dall'informazione, il virtuale credo non possa tuttavia assolutamente prendersi la briga di annientare il reale. Perché è qui che finiscono molte energie di coloro che "stanno bene" e non è giusto.Sto cercando di non demonizzarlo più, di non farne il capro espiatorio di tutti i malesseri della società, ma nel nostro caso ribadisco come facebook o il blog di Giovanni Romano verranno usati solo come ausilio, uno strumento per preparare o accompagnare effettivi incontri e soprattutto quei “rivolgimenti” che saranno incisivi se ciascuno sarà sufficientemente motivato a trasformare il senso di impotenza in azione. E questa azione sarà concepita in differenti maniere, ma ci sarà.
Non diamo più udienza al mostro che impera da anni nelle nostre percezioni e che dice: “pensa, immagina, spera quanto vuoi, tanto tutto ciò che tenti sarà inutile”. È sempre possibile cambiare. Niente resta identico e se si fanno degli errori è comunque un modo per uscire dall’omologante visione sul serio apolitica di chi rinuncia a capire dove vive e perché vive in un certo modo e non in un altro, appellandosi a fatalità, destino, fortuna e tante altre amabili stronzate, che coloro che hanno avuto il privilegio di studiare non devono permettersi di incorporare con rassegnazione come tasselli indiscutibili a partire da cui si ridisegna il puzzle impazzito della società italiana.
C'è un'immobilità preoccupante che mortifica i talenti, costringendoli ad andarsene? Sfidiamola. E cerchiamo alternative finora non pensate, sfruttando la gioventù e la sua fame incontenibile. Il vuoto di potere che abbandona il Sud lo possiamo riempire con i nostri poteri, infinitamente più intelligenti e sofisticati di quello, capace di ragionare esclusivamente in termini di produttività, ricatti, vilipendio del poco visibile e dell'invisibile.E tutto questo va fatto anche andando per strada e lasciando che chi non ha avuto voce cominci a parlare, raccontarsi, scoprire le sue delusioni e additare le sue speranze. "La parola fa l'uomo libero. Chi non si sa esprimere è uno schiavo." dice Feuerbach.
Ma c'è chi non si può esprimere, proprio mentre trovano i più grandi spazi d'espressione coloro che non hanno nulla da dire o dicono intollerabili, offensive sciocchezze che, però, ci abituano a non provare più vergogna, tanto ingombranti e frequenti esse sono.
Anche se questo progetto non decollerà, penso che saper pensare e agire"contro" vada difeso come fondamento della nostra democrazia, troppo poco consapevole di sè stessa e per questo capace di farsi sballottare qua e là da ogni omuncolo che sappia sedurla con qualche promessa mirabolante, naturalmente falsa.
Seppelliamo ingenuità e non lasciamo che facciano di noi ciò che vogliono, anche molto più di quanto siamo capaci di capire fino in fondo. Svegliamoci tutti!".


A parte questi fastidiosi toni da arringapopoli, spero che più o meno il senso sia chiaro.
Concludo rapidamente con un altro "perché" che si lega poi alla stessa struttura del progetto. Il mio compito sarà quello di coordinatrice. E per me è entusiasmante la possibilità di scorgere come altri campi si muovono in direzione dello stesso tema, lontano da astrazioni filosofiche.

Beh..Sono disposta a rispondere ad ogni vostro "perché?", oltre a quelli non so quanto sufficientemente esplicitati qui.
Mi auguro che ci si veda tutti presto e si cominci quanto prima, delineando insieme gli obiettivi principali che dobbiamo porci ma che, strada facendo, non è inverosimile stravolgeremo:)