martedì 17 gennaio 2012

Tutto il mondo è paese?

Differenze di contesto storico a parte, Palermo di oggi e la Manchester di più di un secolo e mezzo fa raccontata da Engels, potrebbero non essere poi così diverse.

Friedrich Engels, La situazione della classe operaia in Inghilterra, del 1845, Rinascita, 1955.
[…]
La brutale indifferenza, l'isolamento insensibile di ciascuno nel suo interesse privato, diventa il più repellente e offensivi, tanto più questi individui sono ammassati, in uno spazio limitato. E, per quanto si possa essere consapevoli che questo isolamento dell'individuo, questa stretta egoista, è il principio fondamentale della nostra società in tutto il mondo, quindi in nessun luogo così sfacciatamente sfacciata, in modo consapevole come solo qui nella affollamento dei grandi della città. La dissoluzione del genere umano in monadi, di cui ognuno ha un principio a parte, il mondo degli atomi, è qui svolta alla sua estrema massima.
[…]

Ogni grande città ha uno o più quartieri poveri, dove è affollata la classe operaia insieme. È vero, la povertà si sofferma spesso in vicoli nascosti vicino ai palazzi dei ricchi, ma, in generale, un territorio separato è stato assegnato ad esso, dove, rimosso dalla vista delle classi più felici, si può lottare insieme come può. Queste baraccopoli sono abbastanza equamente distribuite in tutte le grandi città d'Inghilterra, la peggiore case nel peggiore dei quartieri delle città, di solito uno o due piani, casette in lunghe file, magari con cantine utilizzate come abitazioni, quasi sempre irregolare costruito. Queste case di tre o quattro stanze e un modulo di cucina, in Inghilterra, alcune parti di Londra eccezione, le abitazioni generale della classe operaia. Le strade sono generalmente asfaltate, ruvido, sporco, pieno di rifiuti vegetali e animali, senza fogne o canali di scolo, ma dotato di fallo, invece pozze stagnanti. Inoltre, la ventilazione è impedito dal male, confuso metodo di costruzione del quartiere intero, e dal momento che molti esseri umani qui vivono ammassati in un piccolo spazio, l'atmosfera che regna in questi quartieri operai può essere facilmente immaginato

[…]
Qui vivono i più poveri tra i poveri, il peggiore lavoratori subordinati con i ladri e le vittime della prostituzione indiscriminatamente rannicchiati insieme, la maggior parte irlandese, o di origine irlandese, e quelli che non hanno ancora affondato nel vortice della rovina morale che li circonda, affondando ogni giorno più profonda, perdendo ogni giorno di più del loro potere di resistere all'influenza demoralizzante del bisogno, sporcizia, e dintorni male.
[…]
Manchester [...] comprende quattrocentomila persone, piuttosto più che meno. La città stessa è costruita in modo singolare e si potrebbe abitarvi per anni e entrarvi e uscirne ogni giorno senza mai venire a contatto con un quartiere operaio o anche soltanto con operai, almeno fino a quando ci si limitasse a seguire i propri affari o ad andare a passeggio. E ciò deriva principalmente dal fatto che, per un tacito, inconsapevole accordo, come pure per una consapevole ed espressa intenzione, i quartieri operai sono nettamente separati dai quartieri destinati alla classe media, ovvero, dove ciò non è possibile, sono stati coperti con il manto della carità. Nel centro Manchester ha un quartiere commerciale abbastanza esteso, lungo circa mezzo miglio, e largo altrettanto, composto quasi esclusivamente di uffici e di magazzini (warehouses). In tutto il quartiere non vi sono quasi case d’abitazione, e di notte esso è deserto e solitario, e solamente i poliziotti di guardia con le loro lanterne cieche percorrono le sue strade anguste e buie. Questa zona è attraversata da alcune vie principali, sulle quali si affolla l’immenso traffico, e nelle quali il pianterreno delle case è occupato da eleganti negozi; qua e là in queste vie alcuni dei piani superiori sono abitati, e alla sera fino a tardi vi è una certa animazione. Ad eccezione del quartiere commerciale, tutta la vera Manchester, tutta Salford e Hulme, una parte notevole di Pendleton e Chorlton, due terzi di Ardwick e singole strisce di Cheetham Hill e di Broughton non sono che un unico quartiere operaio, che, simile ad una fascia larga in media un miglio e mezzo, cinge il quartiere commerciale. Fuori, oltre questa fascia, abita la media e alta borghesia. [...] Ma il più bello in tutto ciò è che questi ricchi aristocratici del denaro possono attraversare i quartieri operai seguendo la strada più diretta per arrivare ai loro uffici al centro della città, senza neppure accorgersi di passare accanto alla più sudicia miseria che si stende tutt’intorno. Infatti le strade principali che dalla Borsa conducono in tutte le direzioni fuori di città sono occupate ai due lati da una fila quasi ininterrotta di negozi, e si trovano così nelle mani della piccola e media borghesia, la quale se non altro per motivi di interesse mantiene e può mantenere un aspetto più decoroso e pulito. [...]
Dirò ancora che gli stabilimenti industriali sono disposti quasi tutti lungo il corso dei tre fiumi o dei diversi canali che si diramano per la città, e passo quindi direttamente a illustrare i quartieri operai. Ecco in primo luogo la città vecchia di Manchester, che si stende tra il margine settentrionale del quartiere commerciale e l’Irk. Qui le strade, anche le migliori, sono strette e tortuose, le case sporche, vecchie e cadenti, e l’aspetto delle strade laterali è assolutamente orribile. Giungendo a Long Millgate dalla Chiesa vecchia, si ha subito a destra una fila di case antiquate, nelle quali neppure uno solo dei muri frontali è rimasto diritto; sono i resti della vecchia Manchester pre-industriale, i cui antichi abitanti si sono trasferiti con i loro discendenti in quartieri meglio costruiti, lasciando le case, divenute per essi troppo misere, ad una razza di operai fortemente mescolata con sangue irlandese. Qui siamo realmente in un quartiere quasi dichiaratamente operaio, poiché anche i negozi e le osterie non si prendono la briga di apparire un po’ puliti. Ma questo non è ancor nulla a paragone delle viuzze e dei cortili che si stendono dietro di esse, e ai quali si arriva soltanto per mezzo di stretti passaggi coperti attraverso i quali non passano neppure due persone l’una accanto all’altra. È difficile immaginare la disordinata mescolanza delle case, che si fa beffe di ogni urbanistica razionale, l’ammassamento, per cui sono letteralmente addossate le une alle altre. E la colpa non è soltanto degli edifici sopravvissuti ai vecchi tempi di Manchester: in tempi più recenti la confusione è stata portata al massimo, poiché dovunque vi fosse un pezzetto di spazio tra le costruzioni dell’epoca precedente, si è continuato a costruire e a rappezzare, fino a togliere tra le case anche l’ultimo pollice di terra libera ancora suscettibile di essere utilizzata. [...]
In basso scorre, o meglio ristagna l’Irk, un fiume stretto, nerastro, puzzolente, pieno di immondizie e di rifiuti che riversa sulla riva destra, più piatta; con il tempo asciutto su questa riva resta una lunga fila di ripugnanti pozzanghere fangose, verdastre, dal cui fondo salgono continuamente alla superficie bolle di gas mefitici che diffondono un puzzo intollerabile anche per chi sta sul ponte, quaranta o cinquanta piedi sopra il livello dell’acqua. Per di più ad ogni passo il fiume si trova ostacolato da alti argini, dietro i quali si depositano e imputridiscono in grandi quantità il fango e i rifiuti. In capo al ponte, stanno grandi concerie, più sopra ancora tintorie, mulini per polverizzare ossa, e gasometri, i cui canali di scolo e rifiuti si riversano tutti nell’Irk, che raccoglie inoltre anche il contenuto delle attigue fognature e latrine. È facile immaginare, dunque, di quale natura siano i depositi che il fiume lascia dietro di sé. A piè del ponte si vedono le macerie, l’immondizia, il sudiciume e la rovina dei cortili che danno sulla ripida riva sinistra; una casa segue immediatamente l’altra, e, per l’inclinazione della riva se ne vede di ciascuna un pezzo: tutte nere di fumo, sgretolate, vecchie, con le intelaiature e i vetri delle finestre in pezzi. Lo sfondo è formato da vecchi stabilimenti industriali simili a caserme. Sulla riva destra, più pianeggiante, vi è una lunga serie di case e di fabbriche; già la seconda casa è diroccata, senza tetto, piena di macerie, e la terza è così bassa che il piano inferiore è inabitabile e quindi è sprovvisto di finestre e di porte. Lo sfondo è costituito qui dal cimitero dei poveri, dalle stazioni delle ferrovie di Liverpool e di Leeds, e dietro ad esse è la casa di correzione, la «Bastiglia della legge sui poveri» di Manchester, che come una cittadella guarda minacciosa dall’alto di una collina, dietro alte mura e merli, verso il quartiere operaio che si trova di fronte.

mercoledì 11 novembre 2009

progetto in sintesi

Progetto sulla periferiA palermitana.

La nostra sola giustificazione, se ne abbiamo una, è di parlare in nome di tutti coloro che non possono farlo. (Camus)

Perché Palermo conosca se stessa, la ricerca che presento si propone di mettere in luce la specificità di alcune zone "periferiche" palermitane. Si tratta di un ampio progetto, animato dai lavori di diversi giovani professionisti, che prevede come prodotto collettivo un documentario, capace anche di illustrare come si siano strutturati gli incontri tra i protagonisti della ricerca, durante le discussioni intorno al materiale raccolto. L’idea progettuale è inoltre quella di un'esposizione conclusiva, - possibilmente nelle periferie stesse- che permetta a ciascun partecipante di esprimere quel che ha visto, sentito, fotografato, ripreso, studiato, secondo il proprio talento, riferendosi ad indagini già effettuate sul campo e prospettando, al tempo stesso, diverse ipotesi di intervento e differenti concezioni in merito alla bellezza dei luoghi e delle persone scoperti nella periferia palermitana.
Analisi ed obiettivi. Il degrado artistico, civico e morale di molte periferie palermitane (intendendo con l’espressione “periferia” non soltanto quella tradizionale, estesa intorno al centro storico palermitano, fino ai suoi confini naturali, ma anche le numerose borgate che si inseriscono quasi come enclave nel tessuto comunitario della città) è una delle problematiche principali che un’analisi della città costringe a prendere in esame, se si vuole rimarcare l’urgenza di uno sviluppo economico e culturale del territorio palermitano. Gli studi in tal senso si limitano per lo più al settore urbanistico ed architettonico, in parallelo a molteplici ricerche che, specie a partire dalle rivolte del 2005 nelle banlieue francesi, si sono interessate della riqualificazione delle periferie di molte città europee (cito soltanto i nonluoghi di Marc Augé, neologismo che descrive quegli spazi che hanno la prerogativa di non essere identitari, relazionali e storici.). Tuttavia, la mancata conoscenza del problema nella cerchia più “borghese” palermitana invita ad un’operazione innanzitutto esplorativa, che vuole scommettere sulla possibilità di anteporre ad ogni interesse personale una visione quanto più “libera” possibile, perché sia la periferia stessa a raccontarsi nelle sue irriducibili differenze. Ciò che questo progetto intenderebbe modificare è, quindi, la percezione stessa del problema periferia, lasciando che siano i luoghi e le persone a raccontarsi, seguendo tre linee tematiche: “bellezza, immaginazione, necessità”, “le radici delle solitudini” ed infine “identità e potere”.
Se il progetto dovesse decollare, la creatività e l’impegno dei suoi protagonisti vorrei fosse premiata con un investimento degli eventuali fondi -ricavati dal documentario e dalla mostra- nelle periferie stesse, per creare qualcosa che dia, senza aggredire, il coraggio che occorre per restituire al proprio luogo, alle sue strutture e alla sua organizzazione socio-amministrativa, la correttezza, l’armonia e la bellezza, che la civiltà deve pretendere non come suoi corollari, ma postulati da cui partire perché ogni sua parte, nel centro come nella periferia, si possa sentire tutelata dalla legge e sostenuta da quel tessuto fitto di opere, pensieri, musica e colori che gli uomini da sempre filano, ma che in pochi oggi riescono ad apprezzare davvero.
Idee progettuali ed azioni. Naturalmente questa ricerca è pronta ad indagare questioni non ancora contemplate, che potrebbero allungare i tempi della realizzazione, ma i tempi previsti attualmente vanno da un minimo di 9 mesi ad un massimo di un anno. L’idea da cui intende partire è di tipo prettamente “borghese”: solo la bellezza può salvare il mondo. Se davvero la bellezza ha un potere salvifico, salva, comunque, solo una piccola élite? Potrebbe salvare il mondo o bisogna pensare che oggi non ci sia più rimedio, per borghesi e periferici- ricordando che, comunque, ci sono tanti “borghesi” anche in periferia, almeno a Palermo-, perché la “tecnica” ci ha totalmente dominato, dissipando il bello naturale e rendendo commerciale quello artistico?
Questa è la premessa teorica da cui partiremo per seguirne gli sviluppi, giungendo a possibili risposte, che non chiuderanno naturalmente l'indagine, ma potrebbero segnare un passo in avanti nel fitto terreno della conoscenza. Le riprese ed interviste per un documentario che segua le tre linee tematiche citate sopra, si realizzeranno anche grazie ai contatti con i consiglieri di circoscrizione, le associazioni già attive in quei territori, le scuole e le Chiese, che possano fungere da fondamentale punto di riferimento per la comprensione delle dinamiche del quartiere in esame.
Nei primi tre mesi ci ispireremo ai concetti di bellezza, immaginazione e necessità, coinvolgendo quanto più possibile gli abitanti delle periferie, per lasciarci dire cosa ne pensano della bellezza e se ne percepiscono con disagio l'assenza. Ci piacerebbe si potesse chiarire come sentono il loro luogo, attraverso una serie di riferimenti al ruolo dell'arte nel mondo e tentare anche la strada di un progetto partecipato tra abitanti ed architetti, in modo che si possano avanzare delle ipotesi su cosa davvero urgerebbe più inserire nella zona indagata.
La seconda tranche riguarda "le radici delle solitudini". Il senso della ricerca durante le discussioni forse diventerà: esistono davvero le periferie? Se il riflesso dello spazio sull'uomo è condizionante, non siamo tutti "livellati", "inghiottiti" dalla tecnica? Cosa sta accadendo oggi, almeno secondo la mia percezione, se, laddove esiste, la bellezza dei luoghi viene di continuo violentata? La natura ci può salvare? E come vedono la natura coloro che immaginiamo "delinquenti" e deviati? In periferia, come nei quartieri non “degradati”, i sogni si assomigliano o no? Non siamo tutti accomunati dall’impossibilità di interagire con un mondo che ci illude possa essere dominato per la maggiore informazione che ne abbiamo ma che sembra raramente garantirci la possibilità d’intervento, alimentando rassegnazione e desiderio di fuga? Chi sono davvero gli invisibili?
Non credo esistano vite davvero felici. Le radici della solitudine sono molteplici e non s’identificano interamente con quelle assenze materiali che riscontreremo in queste periferie, perché sono di natura composita e non può esaurire una ricerca su di esse nemmeno una generazione. Ma questo progetto può diventare anche un’occasione di confronto e crescita per ciascuno di noi, se sapremo rivedere il personale modo di condurre l’esistenza, anche a partire da quanto si andrà esperendo con questa indagine.
Riguardo l’ultima linea tematica, “identità e potere”, cercheremo di muoverci, seguendo principalmente tre criteri:
1) Alla luce dello studio delle periferie di altre città, cogliere la specificità di quella palermitana.
2) Quanto interesse viene mostrato per queste zone dai politici? Quanto da coloro che non abitano lì, i "non periferici"? Se esiste un'indifferenza alla riabilitazione di queste zone, qual è la sua causa? I rappresentanti delle circoscrizioni possono e non agiscono, non possono e non agiscono, possono ed agiscono?
3) Le connessioni di questi luoghi con la mafia. L'appartenenza.
Questa è la fase più delicata, perchè, dopo aver raggiunto una consapevolezza maggiore del problema ed una capacità d'interagire tra di noi e gli intervistati si spera adeguata, sarebbe bello sforzarsi di coinvolgere alcuni abitanti nel prendere coscienza attraverso l'arte della risorsa che possono rappresentare, della resistenza che devono mostrare a chi, spesso, sembra volere solamente “usarli” per aumentare un potere che non va a loro nutrimento.

Chi partecipa e a chi si rivolge. I partecipanti sono stati scelti in primis per l’interesse e la sensibilità riguardo questioni di approccio non semplice, e naturalmente anche per via della competenza specifica da mettere in circolo perchè questo progetto gradualmente prenda forma, fino ad avere quasi un’anima sua. Le" categorie"di studiosi interessate a realizzare il progetto sono le seguenti: 1) architetti; 2) filosofi; 3) giuristi; 4) psicologi ; 5) artisti; 6) documentaristi; 7) gruppo misto 1 (storici, sociologi, antropologi) ; 8) gruppo misto 2- esterni e mediatori-: giornalisti, economisti ed altri membri non fissi nei gruppi di lavoro, più probabilmente l'Università e coloro che potremmo invitare in seguito per arricchire le prospettive sulle zone studiate.
I destinatari di questa ricerca sono, naturalmente, tutti i palermitani, “periferici” e non, perché conoscano meglio la città e cerchino di inquadrare un diverso modo di approcciarsi ad essa, senza ritenere immodificabile la sua difficile storia ed “abitabilità”. Se la bellezza spinge a riconoscersi in un centro comune, alternativo rispetto, ad esempio, a quello del potere locale mafioso, può forse essere concepita come risorsa indispensabile e non rivelarsi un'illusione-“borghese”- senza alcun fondamento.

mercoledì 7 ottobre 2009

Il post di Domenico

Periferie ok……. ma la città?
Cara Silvia e cari prossimi amici periferici
Vi scrive un vostro futuro “compagno di avventura” che non è riuscito, ahimè, al momento di intervenire alle vostre interessanti riunioni . permettete con la mia presunzione di indurvi ad un mio personale timore leggendo qua e la i vostri commenti sui i diversi blog che ho avuto il piacere di legge:
credo che manchi qualcosa di fondamentale: cercare -per quanto possibile -di individuare nella città una possibile struttura, nessi logici o almeno una rete che colleghi le parti ( lungomare , borghate, ec.)da voi individuate a una sua complessa “figura”.
Credo e me ne faccio carico che suddividere “a grossi pezzettoni” Palermo "confermerebbe culturalmente" quel insano sviluppo che ha caratterizzato il Sacco di Ciancimino, Lima & co nei anni 50. Una buona analisi dello stato di fatto appunto ma che non premette poi di conoscere alcuni aspetti della città che posso essere notati solo da una “visione dall’alto” .
In pratica se io guardo una carta 1 a 10000 della città scopro , ad esempio, che noi abbiamo un vero proprio “muro di Berlino”: viale regione siciliana che ha reciso i collegamenti viari destinando all’ isolamento borgate come Cruillas o Passo di Rigano .
Ma mi sembra molto utile anche comprendere altre “circonferenze” come -tu Silvia hai spiegato descrivendo l’origine greca della parola periferia- e come questi tipi da voi elencati “poggiano” su essa .
Inoltre noto un vizio di forma: prima di una città anche se troppo antropizzato, abbiamo un territorio ben definito e circostanziato come la Conca d’oro … o quello che ne è rimasto.
Faccio questa osservazione perché manca in queste osservazioni la presenza- non lo dico ironicamente- dell’area naturalistica attorno al “fiume” Oreto. Sarebbe interessante come questo assunto naturale si confrontasse ad esempio con il fronte a mare , a cui manca una politica urbana che sia estesa all'intera aerea.
Quello che mi interessa sapere e se siete d’accordo con me in alcuni punti:
- è molto più interessante e utile trovare le relazioni con la città che delimitare le zone in chiusi habitat che diventano temi di un documentario fine a se stessi.
- Illudersi che i sopraluoghi forniscono una visione esauriente dei temi delle periferie, riducendo la realtà dello stato in aspetti strettamente anedottici .
Cosa ne pensate? Fatemelo sapere
Un saluto e alla prox

lunedì 21 settembre 2009

Della serie "le sintesi impossibili di Silvia"..

Sintesi, se non impossibile, di certo molto ardua, intanto perchè ammetto di essere per lo più "analitica", e poi perchè riuscire a sintetizzare un progetto del genere forse non mi va neppure... lo voglio ricco di spunti ed idee per adesso, aspettando che sia l'effettiva opera dei suoi "contribuenti" a definirlo in un modo che, solamente dopo, sarà sintetizzabile.
In ogni caso, copio e incollo l'ultima mail che vi ho spedito, anche se, alla luce degli "eventi" di ieri, pensando al fango, allo yacht di Dieguccio ed al suo skipper "Mister X", avrei molto da aggiungere. Ed il raccontino ipotetico su come potremmo muoverci che segue -molto informale e scritto in maniera pessima-, si dovrebbe arricchire di numerosi altri quesiti imprescindibili da portare tra la gente..Se ne parla de visu, che è meglio:)

"Chiedo scusa innanzitutto a tutti voi per l'eccessivo caos nel quale vi sarete ritrovati se avrete tentato di leggere qualcosa nei blog o avrete avuto l'occasione di discutere con la sottoscritta, da diversi mesi decisamente inabile nel "parlare", per diverse ragioni.
Sicuramente c'era molta confusione nella mia testa, ed anche la “sintesi” che tenterò di esporvi adesso (riprendendo un breve discorso fatto stasera alla mia amica Simona) tornerò a modificarla parecchie volte, dal momento che limare è di certo un compito infinito e la chiarezza temo sia diventata per una come me una méta molto ardua, per quanto estremamente desiderata .
Resta, poi, l'idea di fondo che, comunque, finché non saremo sul campo, finché non si saranno formati i gruppi e non si sarà creata una minima conoscenza tra i vari membri che aderiscono al progetto, tutto ciò che verrà detto non sarà altro che una sorta di cera, che potrà essere modellata esclusivamente grazie all'energia di ciascuno di voi.
Perché, e poi vado al succo, voglio ricordare ancora una volta come questa ricerca voglia davvero essere "plurale" e sentirsi perciò figlia di molti "genitori", mai il parto esclusivo di una schizzata filo-filosofa.

Allora, dove penso potremmo andare a parare con quest’ indagine "conoscitiva"? Quali obiettivi dovremmo proporci e come dovrebbe essere di fatto congegnata?

Immaginatevi un gruppo di giovani "professionisti", che svolgono lavori differenti e che, forse per caso o forse perchè una rompipalle li ha perseguitati con la richiesta di un documentario sulle "periferie", decidono di capire un pò meglio come si vive e cosa succede negli ambienti "degradati" della loro città.
La premessa da cui partono è, casualmente o meno, piuttosto "borghese", ed è, in quanto inizio di una ricerca, una domanda: se solo la bellezza può salvare il mondo, là dove la bellezza non c'è, cosa accade e cosa si può fare?
Si interrogheranno tra di loro sul significato della bellezza oggi, sul ruolo dell'arte, sull'importanza dell'edilizia e del bello della natura, per chiarire meglio quali rapporti esistano tra l'uomo ed il suo spazio. E cercheranno di capire cosa ne pensano gli abitanti di questi quartieri, quanta fiducia ripongono nell'amministrazione comunale, mostrando i luoghi in cui le vite di coloro che spesso vengono definiti "poveracci" ed "invisibili" si mescolano in vari modi.
Possibilmente coloro che si lasceranno coinvolgere nelle interviste sembreranno proprio confermare l'opinione di chi nel gruppo è già scettico sull'importanza del "bello". Ossia, non è possibile sperare nella bellezza, se prima ci sono da affrontare questioni più urgenti, come la disoccupazione. Chi non lavora è finito, la bellezza è solo un vezzo borghese, sembrerà la sola risposta accorta, incapace però di esaurire lo slancio di curiosità del giovane gruppo.
Sconsolati alcuni, più certi di aver “avuto ragione” fin dall'inizio altri, i membri del gruppo cercheranno di osservare le cose ancora più da vicino.
( Didascalia della scassapalle di cui prima: dalla fase della ricerca “bellezza immaginazione necessità” si passa a quella intitolata “le radici delle solitudini”).

I ragazzi si troveranno a mettere in evidenza tutte le forme di resistenza all'abbandono che esistono già in queste zone- intendo i lavori delle scuole, delle varie associazioni di volontari e tanto altro- che si impegnano in un confronto continuo con tutti quei casi che, fino ad allora numeretti di statistiche letti sui giornali, inizieranno a diventare volti di bambine violentate, ragazzi che spacciano, uomini che entrano ed escono dalla galera forse finalmente conosciuti e tanto altro, in una realtà che, comunque, è variegata e non si può prestare, come nessuna, ad alcuna generalizzazione che la descriva efficacemente con una formuletta. Nascerà probabilmente una discussione sui tratti generali del nostro tempo. Su cosa voglia dire solitudine, visibilità, su cosa sia l’isolamento, su quante possibili affinità ci siano tra coloro che vivono lontano da queste vicende ma soffrono altri mali e chi si sente comunque lasciato solo per altre ragioni. Può esistere un punto di convergenza tra la visione “borghese” e quella “popolare” di ciò che vuol dire vivere?
Immaginate che chi si farà intervistare potrebbe apparire comunque molto annoiato dal tentativo di assicurare come anche altrove non si stia bene, non si sia davvero felici, perché verosimilmente non gli piacerà ammettere che laddove circola ricchezza ci si possa lamentare. E, pur incuriosito dallo scoprire di avere molti sogni comuni, saprà che, spenti i riflettori sulle sue problematiche, non saranno certamente quei ragazzi- che non l’hanno trattato come cavia di un esperimento, ma solo come un concittadino degno di dar voce a ciò che più lo preoccupa- a risolverle.
A questo punto qualche elemento del gruppo penserà di aver già preso dalla ricerca ciò che più gli “serviva”. Sentendosi eroico per aver messo piede in zone che non aveva mai percorso della sua città, potrà tornare a vivere come prima con un tocco di maggiore fascino da usare nelle conversazioni con gli amici … chi lo sa..sarà già, credo, qualcosa di importante che gli resterà come ricordo di quanto più grande e complessa di quanto credeva, fino a qualche mese prima, fosse la sua città, essa in realtà sia.

Ma quando qualcuno dirà “è vero, è così come ci hanno spiegato loro. Il potere è solo di chi ha i soldi”, si origineranno discussioni che porteranno l’indagine ad un altro livello, l’ultimo: identità e potere.
La ricerca posso sforzarmi di prevedere che potrà a quel punto diventare veramente delicata. Saranno tirate in ballo numerose questioni e non è difficile credere che i ragazzi intervisteranno diverse autorità e magari anche i preti delle zone indagate, per capire meglio chi sia effettivamente a “decidere” le sorti di quei luoghi.
Mi ispiro ad una bozza di un possibile“dialogo socratico” sull’argomento, tratteggiata rapidamente ieri, per concludere:

“Più timorosi, dopo le esperienze fatte, che hanno insegnato loro l’impossibilità di raggiungere una verità sull’oggetto (soggetto) discusso- la periferia-, e forse l’inutilità stessa del tentar di domandarsi le cose come stanno, vogliono capire appunto chi ha effettivamente potere. “ Il potere è solo di chi ha i soldi” ha detto qualche “periferico”. “Vedi”, dicono alcuni, “è la necessità di arrivare a fine mese che fa spegnere la voglia di bello ed è solo un vezzo borghese nostro quello che ce lo fa apparire essenziale.”
“No, l’arte può rendere potenti anche i poveri, è una risorsa fondamentale”, dice un altro.
“ È l’economia che fonda l’identità. Ha potere solo chi ha i soldi, ve l’ha detto lui” ricorda qualcun altro. “Già. Ma questi soldi come si fanno qui? “ chiede un altro ancora.
I ragazzi parlano, discutono, confrontano le loro opinioni anche in modo acceso, ma cresce l’entusiasmo e finalmente, dopo diversi faticosi incontri, pensano di aver chiarito per bene la questione. La marginalità della periferia, che trova nella mafia la sua causa principale, si potrà combattere cominciando da qualcuno che qui crede nel cambiamento. Ma i discorsi “buoni” valgono solo per i creduloni delle Chiese, attirati dalla pace e forza vibrante della voce del parroco all’omelia, oppure, ancora, solo per qualche sventurato che pensa che non sia affatto vero che “cu nasce tunnu non po morere quadrato”e basta?

Cambiare, lasciando che la conoscenza e lo slancio incoraggiato dal sostegno intorno, facciano il loro corso è impossibile in Sicilia, dove troppo spesso sembra che Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e tutta la lista interminabile di persone che hanno sacrificato e sacrificano la loro vita per la giustizia, non siano mai esistiti e continuano a non esistere? "

Forse questa sarà la sensazione angosciante con cui si chiuderà questa ricerca, non lo sappiamo.
La storia ha tanti bivi e questo è uno dei finali possibili. Ma questa è appunto solo una strada per fare conoscenza, senza giungere a nessuna conclusione definitiva.
E tutto quello che ho scritto qui per tentare di lasciarmi seguire nelle mie, ridotte all’osso, connessioni mentali, ribadisco come fino a quando non ci avventureremo sul serio, non può che essere aria fritta, retorica scialba, ancora confinata ad un piano del linguaggio e dell’opinione che non mi bastano più.
Ecco perché spero vogliate iniziare a fare i primi “sopralluoghi” e lasciarvi “coordinare” per la divisione in gruppi al più presto.
Alla prossima,
Silvia

martedì 15 settembre 2009

Il post di Giovanni R. : DIVISIONE IN GRUPPI

Ciao a tutti.

Sono molto contento per ieri sera, mi sembra che si siano già raggiunti risultati interessanti. L'esperimento dimostra che a Palermo ci sono tante persone in gamba, molto motivate, che vorrebbero fare qualcosa di concreto per la città, al di là del proprio metro quadro quotidiano di impegno, di vissuto o viceversa di disimpegno e di cazzeggio.

Ringrazio, quindi, tutti quelli che hanno risposto all'invito e .. ad maiora, sperando che a poco a poco le idee prendano forma in qualcosa di sempre più concreto e le energie compresse iniziino a salire verso l'alto.

Ciò detto, lancio il bando ufficiale per la distribuzione delle possibili preferenze sui quartieri o sulle aree tematiche.
Indicate le vostre scelte in modo che si possa al prossimo incontro discutere in concreto della suddivisione del lavoro rispetto ai singoli gruppi. E'importante capire il nostro interesse sulle singole zone o sui temi per iniziare a trovare i necessari contatti sul luogo.

- BORGATA (BORGO VECCHIO, ZISA)
- IL CONFINE SUL MARE (ARENELLA, S.ERASMO, BANDITA ETC.)
- PERIFERIA VERA E PROPRIA (BORGO NUOVO, BRANCACCIO, BONAGIA-FALSOMIELE)
- IL GHETTO (ZEN o meglio INSULAE DELLO ZEN 2)

Si tratta - lo ribadisco ancora una volta - di uno scheletro di massima, preliminare, orientativo, assolutamente rivedibile, riadattabile, criticabile, modificabile in relazione al nostro interesse, alla concreta esperibilità dell'indagine, all'andamento che il percorso di ricerca può avere, alla realtà delle cose, alla nostra prospettiva critica.
Dunque, ogni nuova proposta di modifica, eliminazione, aggiunta delle aree tematiche è ben accetta ed anzi gradita.
Fate sapere, grazie.

Un saluto, Giovanni (7-9-9)

Il post di Danilo

PERIFERIE(A)

Dalle discussioni emerse nel nostro primo incontro son venuti fuori degli spunti interessanti.
Credo sia essenziale, per la migliore comprensione della “periferia” in quanto luogo dell’abitare contemporaneo, l’organizzazione di una o più visite all’interno di questi colossi immaginati nonostante i pessimi risultati, per accogliere un fiume di umanità.
Già, perché se è vero che la periferia possiede connotazioni identiche in tutto il pianeta( degrado sociale e urbano, solitudine, disagio giovanile, alienazione dal contesto urbano, isolamento, chiusura…), probabilmente a causa della visione ristretta ereditata dalla pedante cultura Ottocentesca, è altresì vero che ogni periferia possiede necessariamente una specificità di carattere storico-sociale, urbano-topografica che la identifica rendendola unica e perciò analizzabile come fenomeno unitario.
Come già ricordato ieri sera, credo fermamente che nel caso della nostra città,
il ruolo predominante in questo gioco perverso che ha ridotto la totalità del territorio dalle pendici della Conca d’oro alle coste ad una scacchiera abitativa per lo più sovradimensionata e priva di servizi, sia da accreditare al connubio tra mafia e politica ed alla totale assenza dello Stato sovrano per oltre mezzo secolo.
La Palermo dei nostri nonni, quella degli anni Cinquanta, era la capitale del Liberty della scuola di Ernesto Basile, la Conca d’oro era una distesa di terreni agricoli in cui non era difficile perdersi tra i profumi degli agrumeti e del gelsomino, un complesso ed organico sistema di Ville e pertinenze, insisteva all’interno di questo mare verde intessendo con le borgate(Uditore, Cruillas, San Lorenzo, Sferracavallo, Pallavicino, Partanna, Malaspina, Crocerossa, Noce,Portello, Acquasanta, Arenella, Acqua dei corsari, Oreto, Guadagna, Ciaculli, etc…) un legame vitale il cui vettore ultimo era cuore commerciale del Centro storico.
Un’economia identitaria quella lì.
Fatta di prodotti della terra e del mare, ma di questa terra e di questo mare.
Credo che sia ancora l’economia l’attore principale delle sorti delle nostre città, del nostro modo di abitare, il danaro, quello facile, quello d’affare. La fame dei viddani provenienti da Corleone, alimentata dall’interesse oligarchico della dirigenza della democrazia Cristiana Siciliana e probabilmente del “Divo”, ci consegna oggi una realtà urbana in cui diviene improprio parlare di Periferie ma piuttosto di Periferi”A”.
Un magma saturato di abitazioni-dormitorio scarne di servizi e nonostante la vastità del territorio in questione, ancora monocentrico, la cui identità è fortemente ancorata al ricordo della dimensione abitativa dei luoghi carichi di storia del centro storico.
Una periferia dunque non come le altre malgrado le assonanze ma carica di “sensi” che a noi tocca di saper mostrare, segni, tracce di un passato negato, spesso celato dai mostri di cemento armato della speculazione edilizia palermitana, luoghi questi divenuti specchio della società che li ha generati e desiderosi di riscatto sociale.
Un’ultima considerazione prima di chiudere vorrei spenderla a favore dell’indagine di carattere estetico immaginata da Silvia come portatrice di energie positive.
Sono convinto da architetto che l’estetica tanto sottovalutata dalla nostra cultura recente, dall’arte contemporanea al modo di configurare le nostre parti di città nuova, sia la chiave attraverso la quale generare adesione, perché come amava ricordare Carlo Scarpa:” …se una cosa è bella, chi la osserva la sente…”
I luoghi della nostra quotidianità hanno infatti sul nostro benessere percettivo un’influenza enorme in termini di vissuto eppure sento che non sono configurarti come dovrebbero per accoglierci.
Concludo ricordando una considerazione fatta da Bruno Zevi qualche tempo fa, quando ci ricordava che se al cinema trasmettono un brutto film, possiamo non andarlo a vedere, se l’editoria produce cattivi libri a noi è dato di leggere altro, ma se qualcuno costruisce frammenti di città pessimi o deturpa irreversibilmente il paesaggio dei nostri luoghi, siamo costretti a pagarne tutti le conseguenze e non possiamo chiudere gli occhi per non guardare.
A presto, al prossimo incontro,
Danilo 7-09-09

I dubbi sull’importanza effettiva di costruire un impianto teorico.

Buongiorno, mie care "periferie"!
Approfitto di una pausa per scrivervi, sperando di essere letta.

Parto dal principio che l’unica costante della vita sia l’imprevedibilità.
Quanto è importante che un PROGETTO abbia una salda struttura teorica, se poi, di fatto, vince l’assenza di controllo ed anticipazione, quella serendipità che- talvolta- fa scoprir cose più belle di quelle pensate o rivela- disgraziatamente il più delle volte- l’assoluta infondatezza della scelta di rivolgersi a ciò che si voleva osservare più da vicino?

Questa seconda possibilità, direi brevemente che si realizza:

1)Perché ci sono cose più importanti di cui occuparsi prima;
2) Perché ciò che si vuole ricercare non è un “oggetto” che vuol prestarsi all’essere studiato;
3) O, ancora, trattandosi di un gruppo, perché non c’è la stessa intensa voglia di portare avanti la ricerca nella mente dei membri dell’equipe.

Questo progetto si presta a tutte e tre le “malvagie” imprevedibilità.
Ciò confesso che non mi faccia affatto paura. Mi piacerebbe portarlo comunque avanti, conscia dei limiti e delle difficoltà cui va incontro.
Ripeto ancora come non possa e non debba vendervi nulla. Lo spirito che mi ha guidato finora è stato solo quello di proporvi un viaggio nella conoscenza di qualcosa che non è affatto detto che vi interessi, ed il fatto che invece a me interessa molto conoscere non c’è alcuna ragione per cui dovrebbe incuriosirvi.
Ho già abusato di toni intimistici, raccontandovi come, mentre continuo la lotta al riconoscimento dei miei limiti, sia diventata sempre più bisognosa di capire qual è il mio effettivo “potere”.
E come in questo non abbia alcun dubbio che debba rientrare quello “politico”, in una realtà smisuratamente difficile da incidere com’è la nostra, penso di averlo anche non troppo implicitamente già rivelato.
L’interesse, insomma, non può supplicarsi in alcun modo. E l’ombra dell’esperimento di Platone di cercare di concretizzare la sua utopia, fallendo e disincantandosi al punto da esortare a non tentarla nemmeno, è per me che sono cresciuta con la Lettera Settima, un’ospite perpetua del mio essere.

Detto ciò, se il lavoro di reclutamento iniziato in queste settimane sembrerà svolgersi da parte mia con molta disponibilità ed apertura, annuncio come dovrò correggermi a breve, quando inizierò sul serio a stabilire CHI voglio con me.
Ovviamente non è una minaccia, ma devo essere chiara e sincera fino in fondo.
Quanto all’ultima riserva, ossia la possibile non volontà del gruppo a partecipare, quindi il succo è il seguente.

Gli inviti sono stati fatti spesso casualmente, solo per concedere una visione molto rapida del percorso prospettato, ma chi desidera davvero cominciare un’indagine di questo tipo ha bisogno di fare i conti con se stesso, lontano dalle mie pressioni, richieste e via dicendo, perché senta di non essere costretto in alcuna maniera a fare ciò che non vuol fare.

La prima delle “imprevedibili” cause d’arresto di un progetto simile, ossia la non disponibilità delle “periferie” a lasciarsi scrutare da giovani concittadini che non distribuiscono loro né denaro né offerte di lavoro, può essere arginata forse nella stessa maniera. Proprio perché sono diversi i componenti di un quartiere, diverse saranno le reazioni che potremmo riscontrare al nostro misterioso “interesse” rivolto a “loro”.
Posso immaginare fin d’ora che molti non gradiranno, altri resteranno perplessi, alcuni, però, magari ci stupiranno, lasciandosi coinvolgere, chi può dirlo…

Quanto alla necessità che questo lavoro abbia luce non so che dire.
Ci saranno tante altre cose più urgenti, probabilmente, da osservare.
Ma cercare di capire cosa è il bello, se esiste un bello da conoscere e tentare di difendere o promuovere a Palermo, perché possa avere delle ripercussioni fondamentali nella vita non solo di chi facilmente può accostarsi ad esso, ma anche di frange spesso inascoltate… Se davvero siamo noi i suoi portavoce e se una presunta estetizzazione della nostra vita possa renderci soddisfatti… beh, sono solo alcune delle tante vetrine smerigliate che sbattono nell’edilizia degradatissima del mio cervello e che ho ipotizzato come possibile linea di ricerca, perché capace di tirarne in ballo tante altre, forse anche più importanti.

Ecco, se volete partecipare, una volta espressa la “preferenza” sulla tipologia di periferia da indagare, vorrei tanto che cominciaste- senza alcuna fretta e secondo le modalità che vi mettono più a vostro agio- con il raccontare cosa sia per voi la bellezza.
E così, forse, intanto i miei “interni “ scricchioleranno di meno. E, soprattutto, inizieremo a vagliare la fondatezza o meno della “teoria” da anteporre ad un’analisi che vorrebbe porsi al di là della teoria stessa , per potersi trasformare in conoscenza (ovviamente mai definitiva).
Aspetto vostre notizie.
A breve vi informerò sulla data ed il luogo del prossimo incontro, presumibilmente alla fine della settimana prossima.
Buona giornata!